Esiti come risorse: idrochinesiterapia nel paziente neurologico

Esiti come risorse: idrochinesiterapia nel paziente neurologico

Introduzione

 L’Idrokinesiterapia è un’esperienza del tutto nuova per i pazienti affetti da disturbi di origine neurologica. Questa considerazione, che è frutto della mia esperienza concreta sul campo, è il punto di partenza per un approccio corretto a tale tipologia di pazienti, perché l’immersione in un ambiente microgravitario, come quello acquatico, li costringe a nuove dinamiche.

L’ambiente microgravitario ha regole di movimento date dalle proprietà intrinseche dell’acqua ed è compito del terapista guidare il paziente all’interno di questo “nuovo mondo”, fargli sentire il suo corpo e fargli percepire i cambiamenti, in modo tale che impari a conoscersi e a gestirsi. L’esperienza in acqua presuppone che il paziente sia in grado di adattarsi e ambientarsi, anche in base al suo grado di acquaticità. Spesso pazienti che avevano una buona capacità acquatica prima dell’evento traumatico mantengono questa caratteristica anche in seguito. Perché il paziente sia a suo agio e possa lavorare correttamente in acqua, è necessario che si instauri un rapporto di fiducia col terapista e con l’ambiente in cui si trova. È per questo motivo che non si può prescindere da una fase di ambientamento iniziale, che poi progredirà ed evolverà con il passare delle sedute in acqua. Il paziente deve percepire con piacere il contatto con l’acqua, sentire come lo avvolge e lo sostiene. Dev’essere libero di muoversi all’interno di questo elemento. Il rapporto che si crea con il terapista e con l’acqua genera una cascata di emozioni positive che diventa uno strumento da usare a fini terapeutici. Detto ciò, è comprensibile come la relazione di fiducia abbia una forte componente di fisicità e perciò è necessario che l’idrokinesiterapista sia in acqua, accanto al paziente, non fuori dalla vasca (sarebbe troppo lontano per percepire il suo stato d’animo e le sue necessità). Una volta che il paziente si è ambientato in acqua, si può iniziare a costruire un percorso al fine di perseguire gli obiettivi specifici del suo programma terapeutico. Da qui però nascono delle domande: Cos’ha in più l’acqua dell’ambiente gravitario? Perché siamo promotrici di questo mezzo riabilitativo? Dopo un’accurata riflessione emerge una sorta di slogan, a primo impatto semplice, ma in realtà molto profondo: “usiamo gli esiti come risorse”. Ciò che noi terapisti acquatici trattiamo in acqua, sono gli esiti della patologia, non la patologia stessa. La parola “esito” ha perciò valenza negativa, non positiva come il termine “risorsa”. Bisogna pensare però che in acqua gli esiti possono essere minimizzati se non annullati e diventano il punto di partenza, quindi la risorsa con cui lavorare.

Prendiamo ad esempio un paziente con emiplegia, che sulla terra ferma non ha possibilità di verticalizzarsi se non con l’aiuto di un’altra persona. In acqua, grazie alla galleggiabilità, all’abbraccio e agli ausili che il terapista può posizionare, è possibile che riesca a mantenere la stazione eretta. La verticalizzazione è quindi la risorsa da cui si può partire per costruire il programma riabilitativo, ponendo obiettivi a breve termine, come in questo caso, può essere il miglioramento dell’equilibrio e la maggiore percezione del proprio corpo, che in seguito diventeranno risorsa, come punto di partenza per altri obiettivi a medio o lungo termine. È evidente quindi la necessità di una doppia valutazione: quella a secco e quella in acqua; prima di iniziare il ciclo riabilitativo il paziente dovrà essere valutato da entrambi i punti di vista ed è indispensabile fare un’accurata analisi rispetto al suo grado di acquaticità, alla sua disabilità, alle sue capacità residue e al suo grado di emotività. Solo in questo momento è possibile tracciare gli obiettivi generali e specifici del trattamento: l’enfasi riabilitativa in acqua si sposta dalla patologia alla persona, dal movimento morfologico alla funzione, dal trattamento del danno alla prevenzione, al contenimento e, dove è possibile, all’eliminazione della disabilità e la reintegrazione sociale. In acqua il fisioterapista deve essere un “facilitatore” e non deve accontentarsi degli obiettivi raggiunti in acqua, bensì deve continuamente verificare che siano validati anche fuori dall’ambiente acquatico. L’esercizio in acqua effettuato con precise dinamiche di movimento permette di evocare un reclutamento neuromuscolare, facilitare l’apprendimento di schemi di movimento persi o parzialmente dimenticati, ricordando che il movimento nell’ambiente acquatico è rallentato e di conseguenza migliora l’apprendimento del movimento stesso. In acqua il paziente inoltre può ritrovare o scoprire l’immagine corporea e ricostruire uno schema corporeo che consente di agire all’interno di uno spazio, percepire la propria posizione, percepire la verticalità, migliorare le risposte di equilibrio. Il terapista può fare proposte di attività più o meno in carico a seconda del livello dell’acqua variando il grado di immersione, variando le posizioni di partenza per costruire un atto terapeutico. L’acqua può inoltre essere utilizzata come elemento facilitante nella realizzazione dei passaggi posturali, sfruttando come punto di partenza le autonomie residue, per far acquisire al paziente nuove modalità di autonomia, migliorandole rispetto a quelle di base. L’idrokinesiterapia dà la possibilità di creare anche benefici psicologici, perché una persona disabile in acqua ha possibilità di stabilizzarsi mantenendo una posizione e di effettuare movimenti in modo autonomo, aumentando l’autostima. L’acqua è da ritenersi perciò un elemento globale che integrato con la fisioterapia classica permette una serie di interventi coordinati che hanno lo scopo di favorire nella persona disabile il miglior livello di vita possibile. Per questo è di difficile creare protocolli di esercizi precisi perché le variabili date da un approccio al paziente neurologico sono infinite e l’acqua permette una serie di sequenze riabilitative molteplici che devono essere utilizzate solo da fisioterapisti preparati correttamente al mestiere di idrokinesiterapista. Per questo ha senso capire e divulgare queste sequenze in modo che il terapista le apprenda e le gestisca correttamente, adattandole al paziente che ha in carico, alla risorsa di riferimento e al suo desiderio di fare.

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