Epicondilite: cosa bisogna (non) fare?

Epicondilite: cosa bisogna (non) fare?

Introduzione

L’epicondilite, conosciuta col nome di “gomito del tennista” visto che colpisce almeno una volta nella loro carriera circa il 50% dei giocatori (in particolare i principianti che si apprestano ad imparare il rovescio ad una mano), è una delle principali cause di dolore laterale al gomito e costituisce un grave problema di salute pubblica poiché si sviluppa spesso come condizione correlata al lavoro. Cerchiamo quindi di fare chiarezza sui fattori coinvolti in questa condizione e sugli strumenti di trattamento [2].

Partiamo dalla base: il gomito del tennista non è un problema riservato ai tennisti. Solo il 10% di tutti i pazienti con LE (lateral epicondylitis) gioca a tennis [1]. Il gomito del tennista è invece, sui grandi numeri, soprattutto un problema dei lavoratori manuali di cui il 10.5% ha sofferto di dolore laterale al gomito e di cui il 2.4% ha ricevuto diagnosi di LE. Il problema è dunque soprattutto di quei lavoratori manuali che compiono gesti precisi e ripetitivi [3]: parrucchieri, elettricisti, catena di montaggio, ecc.

La gran parte degli studi suggerisce che il sito di sofferenza iniziale nei casi di LE è l’origine del muscolo estensore radiale breve del carpo (ECRB) che è in contatto diretto con la capsula articolare omeroradiale [4]. I carichi articolari verrebbero così direttamente trasferiti al muscolo ECRB che, avendo una struttura più tendinea e meno muscolare rispetto ai suoi muscoli sinergici, è meno in grado di riprendersi da un trauma [4].

Due i meccanismi patofisiologici riconosciuti alla base del problema. Il primo parrebbe una certa frizione che la superficie del muscolo ECRB esercita sul capitello radiale durante i movimenti di flessone ed estensione [5]. Frizione che potrebbe essere anche esasperata dalla compressione che il muscolo estensore radiale lungo del carpo (ECRL) esercita sul muscolo ECRB. La seconda suggerisce che LE sia la manifestazione di una certa instabilità del gomito, che andrebbe a sovraccaricare il muscolo ECRB a causa della scarsa performance degli stabilizzatori statici del gomito. Tra le cause: una anormale transizione antero-posteriore, una mancanza di copertura della testa radiale da parte del legamento anulare o un legamento collaterale deteriorato [6].

Parallelamente a questi meccanismi patofisiologici parrebbero esserci altri fattori psico-sociali predisponenti lo sviluppo di LE come: un basso reddito [2,3], bassa socialità, carenza di contatti coi colleghi, perfezionismo, ansia e autonomia ridotta [7].

Tra i primi sintomi che i pazienti avvertono, oltre al dolore laterale del gomito, spesso vi è una carenza nella forza della presa che impatta sulle attività da svolgere. Mentre un rapido test clinico, positivo in caso di dolore o calo di forza, consiste nel chiedere al paziente di estendere il polso contro resistenza. Attraverso l’ecografia, esame di imaging di riferimento in casi sospetti di LE [8], si possono invece notare: una anormale dimensione del tendine, calcificazioni o danneggiamenti. Tuttavia è ormai chiaro che alterazioni strutturali e dolore possono non essere correlati [9].

Ora attenzione al vero segreto dietro questa patologia: LE si risolve spesso spontaneamente nell’arco di 1-2 anni [3,10] e pochissimi sono gli studi disponibili che hanno comparato gli outcome di pazienti non trattati a quelli che invece avevano fatto delle terapie. In uno di questi rari articoli di Smidt et al. gli outcome a 1 anno tra i due gruppi di pazienti erano migliori in quelli che avevano fatto fisioterapia ma solo di poco. Ciò suggerisce che la fisioterapia dovrebbe essere riservata soprattutto a quelli che vogliono un beneficio immediato [11].

Inoltre, se si decide di affrontare un percorso terapeutico, bisogna prestare molta attenzione perché non è stato mai provata l’efficacia (o inefficacia) della maggior parte delle modalità terapeutiche comunemente usate per la cura di LE. Non esistono prove certe su onde d’urto, laser, stimolazione nervosa elettrica o ultrasuoni [15-17]. Lo stretching, sebbene sia molto diffuso, soffre di una discreta scarsità di dati e il massaggio trasverso profondo, componente di molti programmi riabilitativi, non sembra essere d’aiuto nei casi di LE [14]. In oltre pochi dati sono estrapolabili dagli articoli riguardanti l’utilizzo di tutori e ortesi [18-20].

E’ quindi tutto finto? No, la fisioterapia VERA rimane il trattamento di prima linea nei casi di LE. Ad esempio la mobilizzazione sembra poter essere benefica [12] ma, soprattutto, il vero centro della terapia dovrebbe essere sempre l’esercizio di rinforzo dei muscoli della regione epicondilare [13]. Inoltre il fisioterapista è incaricato di agire con l’educazione del paziente al controllo dei fattori predisponenti lo sviluppo di LE senza però incentivare al riposo superfluo.

Tratto da: Lenoir H, et al. Management of lateral epicondylitis. Orthop Traumatol Surg Res (2019), https://doi.org/10.1016/j.otsr.2019.09.004

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