Un modello funzionale per l’analisi della corsa in fisioterapia

Un modello funzionale per l’analisi della corsa in fisioterapia

Introduzione

Runner e praticanti di squadra hanno in comune la necessità di spostarsi velocemente come fondamento della loro performance. Saper analizzare e valutare il gesto della corsa può essere, in alcuni casi, decisivo per risolvere la problematica di un paziente sportivo, specialmente quando l’andamento dei sintomi è specificatamente connesso alla pratica della corsa o di una specifica attività. In alcuni casi si tratta di una specifica incapacità di tollerare il carico, fattore sempre più diffuso a causa della sedentarietà che contraddistingue la quotidianità di molte persone.

Come sottolinea Irene Davis, professoressa della Harvard Medical School e direttrice dello Spaulding National Running Center “Molti di noi sono fisicamente incapaci di eseguire il passo della corsa correttamente. Le persone non stanno vivendo la vita per la quale il nostro corpo si è evoluto”.

In questo caso è fondamentale saper riconoscere gli specifici deficit muscolari e intraprendere un percorso di adattamento speciale con esercizi ad hoc per preparare e allenare il soggetto a sostenere sollecitazioni maggiori o per tempi più lunghi.

Allo stesso tempo è importante saper valutare l’adeguatezza e la correttezza del gesto della corsa in rapporto agli obiettivi di ogni singolo soggetto: per alcuni pazienti il modo in cui eseguono il gesto può modificare notevolmente la sollecitazione richiesta alle diverse strutture del sistema motorio e quindi aumentare o diminuire la richiesta funzionale locale alleviando o aggravando una sindrome da sovraccarico. Nell’ammortizzazione degli impatti, ad esempio, uno studio ha dimostrato che variando lo schema di corsa dei soggetti è possibile ridurre del 50% il carico sul ginocchio, aumentando al contempo la richiesta funzionale della caviglia. Se compariamo l’appoggio di un heel striker (corridore che appoggia prima il tallone e poi resto del piede) rispetto a quello di un forefoot striker (corridore che appoggia prima l’avampiede) sappiamo che il primo ha un’attività aumentata del 43% nel comparto anteriore della gamba, mentre l’altro del 45% nel comparto posteriore.

Come fisioterapisti, professionisti esperti del movimento, quindi, dobbiamo essere in grado di valutare se lo schema motorio della corsa di un soggetto sia rispettoso del corretto funzionamento di tutti i componenti del suo sistema motorio. Per fare questo dobbiamo conoscere lo standard kinesiologico della corsa e sapere quali pattern motori deve effettivamente utilizzare un soggetto per correre.

Possiamo affermare che nella corsa vi sono due obiettivi fondamentali:

  1. Muovere gli arti inferiori in modo da produrre potenza sufficiente a spostare il proprio corpo in avanti in modo continuativo ad una velocità superiore a quella del cammino
  2. Ammortizzare gli impatti dovuti agli spostamenti verticali dal baricentro, dato che l’attrito rende molto svantaggioso strisciare i nostri piedi sulla superficie d’appoggio.

Per assolvere il primo scopo nella corsa si utilizzano questi tre pattern di movimento fondamentali:

  1. La caduta del baricentro oltre la base d’appoggio (dal midstance al terminal stance)
  2. Lo swing in avanti dell’arto al termine dell’appoggio
  3. La trazione del baricentro sulla base d’appoggio (dall’early stance al midstance)

Definire i parametri che descrivono queste funzioni motorie fondamentali, ci può aiutare a stabilire se il soggetto stia correndo bene o male, o meglio, in modo adeguato e coerente al contesto. Certo, perché correre in salita o in discesa, piuttosto che lentamente o per una gara di 100m, richiede adattamenti diversi, che saranno poi ancora differenti a seconda delle proporzioni corporee del soggetto e delle sue caratteristiche fisiche.

Come sappiamo che esistono diversi modi per piegarsi e raccogliere un oggetto e che schemi differenti sono più o meno indicati in caso di varie problematiche, possiamo pensare di ottimizzare la corsa di un paziente per un determinato scopo terapeutico. Non è dimostrato un rapporto di causalità tra schema del passo di corsa e incidenza d’infortuni, ma studi hanno verificato che esercizi specifici possono migliorare l’allineamento e la sintomatolgia di soggetti che soffrono di dolore anteriore al ginocchio, che aumentare la cadenza riduce le forze di reazione al suolo, che un feedback adeguato visivo o verbale può aiutare a correggere il gesto della corsa, per ridurre la sintomatologia associata ad una certa problematica.

Come si può procedere, quindi, quando un paziente viene da noi per una problematica che capiamo essere connessa alla corsa?

Il suggerimento è quello d’effettuare inizialmente la valutazione standard che ogni professionista attuerebbe secondo il proprio bagaglio di competenze: la sola osservazione della corsa potrebbe indurci a focalizzarci su aspetti non rilevanti per il problema del paziente. Terminato l’esame, la valutazione della corsa secondo modalità standardizzate può ulteriormente completare il nostro quadro, a patto di sapere cosa valutare e come. Il fattore chiave per giungere a una corretta diagnosi funzionale sarà la coerenza del ragionamento clinico tra l’esame fisico, l’osservazione della corsa e di altri movimenti fondamentali in rapporto alla tipologia e all’andamento dei sintomi. Per ogni pattern funzionale della corsa che abbiamo definito in precedenza, ciò che vediamo in termini ROM, velocità e qualità del movimento della corsa di nostri pazienti può darci delle informazioni utili a capire se una determinata funzione è eseguita in modo corretto.

Ad esempio, la posizione verticale della tibia al contatto terreno è un requisito importante perché sia l’ammortizzazione che la trazione vengano eseguite in modo ottimale con una corretta balance nell’attività dei muscoli anteriori e posteriori dell’arto inferiore. Allo stesso modo la posizione di non completa estensione del ginocchio al distacco del piede è indice di una corretta fase di caduta senza un’eccessiva push-off dei muscoli plantiflessori della caviglia, che potrebbe determinare un sovraccarico del tendine d’achille.

Per esaminare la corsa possiamo sia far correre il paziente su un tapis-rouland a velocità crescenti per pochi minuti, sia fargli compiere brevi tratti su un rettilineo all’aperto, con lo scopo di apprezzare variazioni e differenze tra le diverse andature. Completano l’esame la valutazione del ½ squat, del ½ squat monopodalico, dello squat completo, dell’affondo e di saltelli monopodalici sul posto, che insieme alla corsa ci danno informazioni sugli schemi di movimento dominanti del soggetto e sulla performance muscolare delle catene cinetiche dell’arto inferiore. In alcuni casi può essere utile far eseguire al soggetto anche alcune andature tipo lo “skip sotto” e una corsa balzata, per valutare anche i suoi adattamenti a richieste di potenza specifiche.

Per dare un quadro completo di quali parametri tenere in considerazione per la valutazione specifica dei pattern motori della corsa possiamo fare riferimento allo schema che segue. È importante ribadire che questi indicatori, da soli, non possono fornirci un quadro completo della problematica funzionale, sia per la propulsione che per l’ammortizzamento di un soggetto che corre, ma devono essere integrati tramite il ragionamento clinico con quelli di valutazioni specifiche di tipo articolare, muscolare, ecc.

1. Avanzamento del baricentro oltre la base d’appoggio (dal midstance al Toe off)

a. Posizione del tronco vicina alla verticale

b. Posizione del ginocchio al Toe off

c. ROM d’estensione dell’anca al termine dello stance – rotazione del bacino

d. Deviazione dell’asse ideale dell’arto inferiore e del tronco sul piano frontale

e. Performance dei muscoli glutei e degli addominali inferiori

f. Controllo dell’equilibrio in monopodalico e nello squat monopodalico

2. Swing in avanti dell’arto al termine dell’appoggio (Swing)

a. Corretta coordinazione tra flessione dell’anca e del ginocchio – all’inizio dello swing il ginocchio compie la maggior parte dell’escursione di movimento, poi l’anca completa la flessione e solo alla fine il ginocchio torna ad estendersi per preparare il contatto terreno.

b. Posizione del tronco

c. Rapporto tra gradi di flessione del ginocchio e dell’anca di circa 2:1

d. Minime rotazioni del bacino

e. Performance dei muscoli flessori di anca e ginocchio

f. Controllo delle rotazioni del tronco e del bacino

g. Allineamento durante l’esecuzione dell’affondo

h. Schema di movimento dello squat completo

3. La trazione del baricentro sulla base d’appoggio (dall’early stance al midstance)

a. Appoggio vicino alla proiezione a terra del baricentro

b. Posizione della tibia al contatto terreno

c. Gradi e movimento di flessione del ginocchio al contatto terreno

d. Accelerazione antero-posteriore del piede al contatto terreno

e. Performance degli estensori del tronco e degli estensori d’anca

f. Distribuzione del carico durante l’esecuzione dell’affondo

4. Ammortizzamento

a. Appoggio vicino alla proiezione a terra del baricentro

b. Ginocchio che va verso la flessione al contatto terreno

c. Esecuzione del ½ squat bi e monopodalico

d. Allineamento del tronco e della catena cinetica dell’arto inferiore durante i saltelli.

e. Cocontrazione limitata dei muscoli della coscia e tempi di contatto rapidi – azione elastica

Da ultimo è importane sottolineare che, poiché il gesto della corsa è un ciclo che si compone di diverse azioni sinergiche pliometriche tra gruppi muscolari antagonisti, spesso l’esecuzione di un pattern motorio è il risultato di ciò che avviene nella fase precedente. Se ad esempio, il soggetto ha ruotato il bacino durante l’oscillazione dell’arto destro, anche la fase di trazione e l’ammortizzamento avverrano con un allineamento del bacino e dell’arto inferiore non ideale sul piano frontale e orizzontale.

La difficoltà di dare feedback e suggerimenti correttivi ai soggetti sta nell’individuare quello/i che offrono la migliore correzione globale e che risultano più facili da capire ed attuare per il paziente.

E l’appoggio del piede? Nonostante molti studi si concentrino su quale sia il modo ottimale di appoggiare il piede durante la corsa, non esistono al momento evidenze su quest’argomento. Come afferma David McHenry, fisioterapista e strength and conditioning coach per Alberto Salazar al Nike Oregon Project. “Il piede è davvero solamente l’estremità della grande catena cinetica della gamba, coscia, anca, bacino e tronco”. L’idea è che, come altri singoli fattori, l’allineamento e l’azione del piede siano influenzati e influenzino le azioni e reazioni che si sviluppano durante il gesto. L’esperienza del campo sembra indicare che all’aumentare della velocità e alla diminuzione dei tempi di contatto debba per forza corrispondere una strategia d’appoggio d’avampiede, anche per fare in modo che l’efficiente muscolatura plantiflessoria possa contribuire all’ammortizzamento, ma questo non può essere in alcun modo essere sufficiente a definire un modo corretto di correre; altri studi sembrano invece suggerire che l’appoggio di tallone sia più versatile, più semplice e in grado di minimizzare il costo energetico della corsa ed è per questo che è la strategia più diffusa. Ovviamente in tutto questo ragionamento anche le calzature indossate modificano ulteriormente il quadro.

Anche parametri generici come la cadenza e l’oscillazione verticale non possono essere sufficienti a definire una corsa corretta o efficiente. La cadenza deve essere adeguata alla performance richiesta. Almeno 170 appoggi al minuto per andature lente – di circa 180 appoggi al minuto per la massima efficienza meccanica – superiore ai 210 appoggi al minuto per sviluppare la velocità massima. L’oscillazione verticale stessa, che in alcuni approcci sembra essere un fattore da limitare il più possibile, ha una sua giusta escursione. Lo spostamento verticale deve essere ottimizzato in funzione del completamento della fase di volo: se è troppo limitato non vi è sfruttamento dell’energia impressa al suolo e tempi di rilassamento adeguati per la muscolatura che deve provvedere all’ammortizzamento.

I vantaggi nell’utilizzare un modello funzionale per l’analisi della corsa sono sicuramente quelli di poter attuare un ragionamento clinico chinesiopatologico, che parte cioè dal movimento per spiegare la causa e non solo la fonte dei sintomi. Inoltre parlare di “soli” quattro meccanismi da eseguire nel modo corretto rende il problema della comunicazione tra paziente, allenatore e atleta più semplice e può tradursi più facilmente in un lavoro d’equipe perché le correzioni necessarie progrediscano tramite gli esercizi specifici, i giusti feedback motori e adeguati metodi d’allenamento.

Infine è importante ricordare che, come sottolinea I. Davis, “Nessun esercizio di rinforzo può tradursi da solo in una correzione del gesto della corsa; i pazienti hanno bisogno di percepire e allenare il nuovo pattern motorio o questo non verrà applicato in modo stabile, specialmente in condizioni di affaticamento”.

Sappiamo che una corretta diagnosi funzionale e l’efficacia del trattamento non possono prescindere dalla conoscenza degli schemi motori dei pazienti, quindi poter utilizzare un modello di riferimento per una valutazione sistematica della corsa possa essere una risorsa importante ai fini della riabilitazione di un runner infortunato.

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