Il bambino disabile e la relazione quadrangolare

Il bambino disabile e la relazione quadrangolare

Introduzione

In fisioterapia sapersi rapportare in modo positivo con il paziente è fondamentale, poiché costituisce il punto di partenza corretto del percorso riabilitativo.La relazione in idrokinesiterapia è strettamente correlata all’ambiente in cui sono immersi, insieme, paziente e fisioterapista. 

La condivisione dell’ambiente acquatico, diverso da quello terrestre per leggi fisiche e per la possibilità di entrare in contatto diretto e intimo con il corpo del paziente, accelera e amplifica le possibilità di relazione per entrambi i soggetti. Diventa così uno degli strumenti riabilitativi basilari offerti dall’idrokinesiterapia, che ci permette di affermare che la relazione, in acqua passa attraverso tre elementi: acqua, fisioterapista e paziente. Per quanto riguarda il bambino, compare un altro elemento indispensabile: il gioco. Stabilire una relazione significa anche parlare uno stesso linguaggio e il gioco è il vocabolario comune tra terapista e bambino. Esso permette al piccolo di esprimersi e al fisioterapista di proporre un percorso terapeutico attraverso un mondo magico, attirando sicuramente la sua attenzione e favorendo il successo dell’intervento terapeutico. Quando ci si rapporta in acqua con un bambino, in particolare quello disabile, si supera quindi il concetto di relazione “triangolare” (acqua, fisioterapista, paziente) e si sperimenta una relazione di tipo “quadrangolare” (acqua, fisioterapista, bambino e gioco), nella quale il gioco e l’acqua compaiono come elementi di mediazione all’interno di questa particolare e forte relazione. Se durante le sedute di idrokinesiterapia si analizza questo tipo di circuito relazionale, si evidenzia chiaramente come l’offerta riabilitativa dell’ambiente acquatico, per il bambino disabile, sia fondata sui quattro elementi detti sopra. L’acqua è un importantissimo elemento di relazione perché essere immersi insieme significa condividere. Essa permette modelli di comunicazione che attirano immediatamente l’attenzione del bambino e avviene subito una trasmissione di sentimenti/emozioni. In acqua la comunicazione diventa l’espressione massima della relazione e può avvenire sia a livello corporeo che verbale. È risaputo come l’ambiente acquatico favorisca la comunicazione corporea, che va oltre il dialogo. È fatta di abbracci, coccole ed espressioni e il bambino comunica attraverso il tatto, mediato e accarezzato da un elemento comune: l’acqua Acqua che consola e dà senso di protezione, al quale il bambino risponde con senso di sicurezza e desiderio di lasciarsi andare. I corpi si toccano, si uniscono in un profondo contatto, e il corpo del fisioterapista deve comunicare accoglienza e calore, deve gratificare e contenere, diventando un punto di riferimento, un “porto sicuro” al quale tornare. Il bambino disabile in questa dimensione si sente libero di muoversi, in un ambiente che lo accoglie e lo coccola, che non ha barriere, non si rompe, anzi lo sostiene e rende meno difficoltosi i suoi movimenti, permettendogli così di sperimentarne di nuovi, magari mai compiuti “a secco”. Basta pensare al bambino in carrozzina, costretto nella posizione seduta. Quando viene immerso prova subito la sensazione del cambio di postura che da orizzontale può diventare facilmente verticale. La comunicazione verbale permette invece di rafforzare la relazione attraverso schemi più codificati e conosciuti, anche se, oltre al linguaggio convenzionale, si possono usare toni di voci diverse, si possono inventare e codificare suoni comuni, sia usando la voce che ascoltando e producendo il tipico rumore dell’acqua. Così la comunicazione diventa fluida, dove lo scorrere relazionale è continuo, dentro un circuito che non deve mai essere perso di vista, ma che piuttosto deve essere continuamente rivisto e analizzato con senso critico da parte del fisioterapista. Questo modo di comunicare apporta un flusso di percezioni positive che generano interesse e producono risposte, sia emotive che senso motorie, utili per la costruzione di schemi motori e attività gestuali. Adattarsi al nuovo ambiente per il bambino disabile significa affrontare direttamente sia i vincoli imposti che le facilitazioni date dall’ambiente acquatico, adeguandole alle proprie limitazioni. L’adattamento è un cardine dell’idrokinesiterapia. Questo processo deve essere guidato/condotto dal fisioterapista e consiste nel portare il bambino a non sentirsi estraneo all’ambiente acquatico e ad acquisire le abilità per potersi sperimentare e mettere in gioco, pur nelle difficoltà e nelle limitazioni causate dalla patologia, per arrivare a trovare una propria dimensione acquatica. Essa è la nuova condizione cognitivo – motoria – relazionale in cui si trova il bambino, ed è sempre in divenire. Trovare una propria dimensione acquatica significa stare bene e con piacere nell’ambiente in cui si è immersi. È la “chiave d’ingresso” per un corretto contatto relazionale. Il gioco è l’espressione e il mezzo attraverso il quale avviene la comunicazione. Mentre gioca il bambino prende consapevolezza del proprio mondo interiore che interagisce con quello esteriore, entra in relazione con sé stesso e con l’altro. È attraverso il gioco che inizia a comprendere come funzionano le cose, prende coscienza di sé e degli altri, per poi arrivare a capire che esistono delle possibilità e delle regole, sviluppando così la crescita di una propria personalità. In idrokinesiterapia l’ambiente vasca deve così diventare uno spazio privilegiato per il gioco, deve diventare il luogo, “la stanza magica”, nella quale esprimersi in maniera libera secondo le proprie capacità cognitivo-emotivo-motorie. Anche in acqua il gioco può essere diviso in fasi: la fase del gioco astratto, durante la quale il bambino prova modi diversi di essere e la fase del gioco concreto, durante la quale attiva nuovi modi di agire. Sfruttando le sicure opportunità di gioco offerte dall’acqua, il fisioterapista deve accompagnare il bambino in questo processo in modo propedeutico. Nella fase del gioco astratto significa stimolare l’immaginario del bambino, per esempio: “siamo dei pesci”, oppure, “siamo marinai”; nella seconda fase, quella del gioco concreto, significa dare consistenza all’immaginazione con azioni che diventano espressioni motorie, per esempio: “siamo pesci che muovono la coda per entrare nella tana” oppure “siamo marinai che alzano le vele”. Durante questa seconda fase il gioco, da simbolico, diventa concreto, poiché il bambino è stimolato ad agire, cioè a rispondere con un atto motorio. In questo momento del percorso riabilitativo, quello che per il bimbo è gioco concreto, per il terapista assume significato funzionale. È durante questa fase che il terapista ha la possibilità di far compiere gli esercizi funzionali sotto forma di gioco, secondo gli obiettivi che inizialmente si era proposto. Quindi “l’essere pesci che muovono la coda” significa muovere gli arti inferiori con lo scopo di dare lo schema del passo oppure “essere marinai che alzano le vele” serve per estendere il tronco e migliorarne il controllo. In acqua, queste fasi del gioco sono fondamentali per la maturazione funzionale, perché giocando il bambino si trova ad imparare contenuti neuro motori, cognitivi, relazionali, psicologici usufruendo di uno stato motivazionale elevatissimo che facilita l’apprendimento e rende più sopportabile lo sforzo. È importante che il fisioterapista comprenda i continui messaggi che gli vengono trasmessi dal bambino e sappia scegliere il comportamento terapeutico adeguato. Deve essere in grado di attivare modalità di comunicazione adatte non solo al percorso riabilitativo che ha impostato, ma anche alla personalità del bambino e al momento specifico che sta condividendo con lui. Proporre attività ludico terapeutiche in acqua significa partecipare in modo coinvolgente, favorendo la capacità imitativa del bambino, che deriva dall’osservazione e serve a prendere coscienza dei propri movimenti per inserirli all’interno di un contesto. Per questo il terapista deve conoscere gli strumenti che ha a disposizione e saperli gestire rispetto agli obiettivi a breve e a lungo termine che si è prefissato, ma soprattutto deve sapere che in questo percorso terapeutico anche lui è coinvolto e deve essere in grado di giocare.

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